Anna Marson | Città fragile | Vol II | Futuri urbani
Premessa
La mia posizione attuale è quella di una planner che insegna a studenti e dottorandi universitari, e coordina attività di ricerca. Riflettendo sugli scenari progettuali urbani o territoriali di diversa scala, su contesto e contenuto, ho quindi la fortuna di dover mantenere soltanto la postura etica che si richiede a chi ricopre il mio ruolo, e un atteggiamento di rispetto nei confronti di alcune istituzioni per le quali svolgo, attraverso convenzioni universitarie, attività di ricerca.
Ciò definisce una posizione abbastanza libera di descrivere anche gli aspetti critici delle dinamiche in corso, non tanto per il compiacimento di criticare qualcosa o qualcuno, quanto per sollecitare tutti coloro che hanno un potenziale ruolo di agency (come si suole dire, ovvero tutti coloro che potrebbero porvi rimedio) ad attivarsi in tal senso. Dopo l’avventura di un quinquennio nel ruolo di assessore alla Pianificazione del territorio e al paesaggio della Regione Toscana mi è infatti più evidente la lettura del ruolo, positivo o negativo[1], che le istituzioni pubbliche – e in particolar modo gli enti territoriali, pur tra molti problemi – possono comunque agire nel governo delle dinamiche territoriali e dei loro esiti sul nostro futuro di vita quotidiana.
La cornice del governo del territorio esistente
Il governo del territorio in Italia negli ultimi cinquant’anni è stato, di fatto, affidato alle Regioni, nonostante la competenza concorrente fra Stato e Regioni definita dal Titolo V della Costituzione, e la competenza esclusivamente statale in materia di edilizia, ambiente e tutela del paesaggio.
Le regioni hanno esercitato più o meno bene la loro competenza, cercando di garantire i raccordi con le competenze statali e con le continue liberalizzazioni e sanatorie in campo edilizio intervenute via via prima nelle fattispecie dei condoni e poi con i diversi cosiddetti “piani casa”.
Il termine “governo del territorio” si differenzia dalla “pianificazione territoriale” nel suo significato di governo complessivo delle diverse politiche, anche settoriali, che producono effetti territoriali, a prescindere dal fatto che siano oggetto di un piano definito ufficialmente a valenza territoriale. Processo importantissimo ma raramente governato in modo unitario, perché si ritiene che assumere decisioni diverse in modo settoriale riduca il conflitto ex ante, anche se potrà produrre effetti decisamente negativi ex post[2].
Anche a questo proposito un’innovazione rilevante s’è avuta nel corso degli anni ’90 in diverse regioni introducendo una nuova disciplina della pianificazione, articolando il vecchio Piano regolatore generale in due: uno strumento generale di scenario pluriennale e uno strumento operativo[3]. Lo strumento di scenario aveva così la possibilità di definire un vero e proprio progetto di sviluppo locale, mentre allo strumento operativo era affidato il compito di regolare le nuove trasformazioni edilizie entro la scadenza quinquennale, al termine della quale i diritti di nuova edificazione avrebbero comunque potuto essere rivisti. Piani generali che abbiano costituito scenari di sviluppo locale guida anche per le diverse politiche settoriali se ne sono visti pochi, ma diversi comuni hanno usato questa nuova possibilità in modo virtuoso per rivedere almeno le previsioni di edificazione. In generale il consumo di suolo ha continuato ad aumentare, evidenziando dinamiche non più sostenibili dal punto di vista ambientale[4] ma anche economico[5]. I tagli nei trasferimenti finanziari dallo Stato centrale ai comuni hanno reso difficile soprattutto per i piccoli comuni mantenere una dotazione tecnica sufficiente a espletare le procedure di pianificazione del territorio, e non solo. La trasformazione delle province e la riduzione del personale e delle competenze di queste ha peggiorato la situazione. Alcuni comuni si sono associati fra loro riuscendo così a promuovere anche la costruzione di scenari integrati di futuro possibile per Territori più ampi, in un contesto comunque di forte problematicità.
Vi è stata una stagione in cui alla sottrazione di competenze pubbliche e di consapevolezza conseguente ai processi di privatizzazione si è provato a rispondere aprendo alcuni processi decisionali alla partecipazione. Per gli strumenti e i processi di pianificazione del territorio, l’importanza assegnata alla costruzione dei quadri conoscitivi e alla partecipazione degli abitanti ha provato a controbilanciare la perdita di centralità degli enti territoriali quali attori in grado di controbilanciare le spinte privatistiche, costruendo le condizioni far emergere gli interessi collettivi[6].
Nella maggior parte dei contesti, ancora oggi l’approfondimento della conoscenza del patrimonio territoriale collettivo sul quale vengono calate possibilità edificatorie e opere infrastrutturali viene considerata un appesantimento burocratico[7], anziché un investimento per costruire un futuro più resiliente dal punto di vista ambientale, economico e sociale, e la partecipazione un fastidio. Nella stessa Toscana, all’avanguardia anni fa nel proporre la prima legge di promozione della partecipazione[8], così come nell’introdurre la partecipazione quale procedura ordinaria nel processo di redazione degli strumenti di pianificazione[9], l’interpretazione di questo insieme di norme nella loro applicazione ormai pluriennale ha evidenziato un forte ridimensionamento dell’innovazione auspicata, se non addirittura un riduzionismo regressivo[10].
Le procedure di governo del territorio, anche dove concepite in modo avanzato, costituiscono un riferimento molto importante per la tutela degli interessi collettivi, ma non sufficiente da solo, senza attori disponibili ad attivarsi al riguardo, a cambiare le dinamiche prevalenti.
Va inoltre purtroppo osservata una tendenza regressiva più generale. I diversi progetti di legge nazionali indirizzati a contenere o contrastare il consumo di suolo depositati in Parlamento nell’ultimo decennio non hanno mai portato all’approvazione un atto al riguardo, mentre il recente avvio di un percorso di revisione della legge urbanistica nazionale[11], peraltro non del tutto propriamente associato alla revisione delle norme in materia edilizia[12], appare più attento alla rappresentanza dei diversi interessi che a una sistematizzazione ragionata di un sistema di governo del territorio in affanno.
Le recenti dinamiche
Oltre a quanto fin qui tratteggiato, alcune recenti dinamiche esterne alle procedure e pratiche di governo del territorio hanno comportato e stanno tuttora esercitando radicali effetti nella nostra società e nelle sue istituzioni: la Pandemia, le risorse straordinarie messe a disposizione dall’Europa e la corsa a utilizzarle, la crisi del modello di globalizzazione diffuso quale conseguenza della guerra in Ucraina. Quanto il nostro futuro di vita nei territori del quotidiano ne sarà modificato, e soprattutto in quale direzione?
La crisi pandemica come speranza di cambiamento
Nel contesto di una pandemia che ha stravolto le vite di molte persone, comunità e famiglie, restringendo in breve tempo lo spazio teoricamente possibile del mondo allo spazio obbligato della casa, sono stati in molti (spesso in discontinuità con le loro azioni precedenti) ad auspicare come soluzione il ritorno alle aree interne, ai piccoli borghi e così via. Dietro e oltre questa soluzione semplicistica è emersa invece una nuova evidenza della necessità di cambiare il modello complessivo di produzione dello spazio urbano e rurale nel suo insieme[13]. Trattando del futuro dei nostri territori è fondamentale allargare lo sguardo dalle cause ultime dello sviluppo del virus per comprendere le relazioni tra nuovi virus e condizioni ecologiche globali e locali.
Il collasso ambientale e climatico in corso, identificato oramai da una moltitudine di indicatori quantitativi e qualitativi, è destinato a produrre un complesso di eventi critici rispetto ai quali la pandemia in corso rappresenta soltanto un primo assaggio. Il crescente rischio di innesco di cambiamenti brutali e irreversibili è oramai un dato di fatto accertato. Questa drammatica prospettiva si potrebbe attenuare soltanto con tempestive azioni globali indirizzate a trattarne le cause.
Il trattamento dei soli effetti della crisi, paradossalmente ma non troppo, mette invece in gioco come strategia privilegiata metodi emergenziali di sorveglianza che reprimono le libertà sociali degli individui e delle loro comunità, anticipando scenari tragici per il futuro della democrazia. Il presupposto implicito della scelta di concentrarsi su politiche di sorveglianza è che i fattori ecologici, politici ed economici alla base sia delle epidemie che della crisi ambientale planetaria non possano essere affrontati, perché ciò richiederebbe un sovvertimento del modello di sviluppo in atto, delegittimando la sempre più spinta finanziarizzazione globale e la corsa inarrestabile verso metropoli, megalopoli e regioni intensamente urbanizzate, riportando invece l’attenzione sui territori e la loro qualità biotica.
La crisi del legame fra l’abitante e la materialità del territorio che ne garantiva sia i cicli vitali di riproduzione che un’effettiva partecipazione politica si è rivelata in tutta la sua evidenza durante la pandemia, facendo emergere paradossalmente la speranza di poter agire un cambiamento, tornando ad Abitare (e dunque a governare) i nostri territori in modo collettivamente consapevole.
Gli ormai pochi abitanti della città storica di Venezia si sono ritrovati e hanno ripreso possesso per qualche tempo di spazi pubblici urbani finalmente accessibili, senza turisti, mentre gli studenti hanno finalmente trovato alloggi a prezzi meno esosi di prima, potendo così vivere per qualche mese vicino alle aule universitarie anziché nelle periferie della terraferma.
Milano ha ri-abitato i propri quartieri, che sono tornati a ospitare una pluralità di funzioni da tempo spostate altrove, nelle aree direzionali del centro o nei centri commerciali esterni, concretizzando la prospettiva di una possibile riterritorializzazione nello spazio del quartiere delle pratiche di vita, di lavoro, di cura[14].
Firenze si è scoperta vuota di abitanti ma densa di reti di solidarietà[15], e per la prima volta da anni si sono ascoltati discorsi istituzionali sulla necessità di ripensare l’uso del centro storico, pur proseguendo senza alcuna soluzione di continuità le trasformazioni edilizie verso il ricettivo-turistico.
Gli aspetti della necessità, ma anche del desiderio e dell’immaginazione hanno definito prospettive fino a poco tempo prima impensabili, che sono sembrate tuttavia potersi realizzare, anzi nel temporaneo stato di eccezione si sono per qualche tempo realizzate.
Un brusco risveglio, con divari crescenti e deregolamentazioni in atto
I canti dai balconi e dagli spazi di vicinato, la riscoperta delle botteghe di vicinato e dei produttori locali, le riflessioni sul fatto che in fondo si potrebbe lavorare e consumare meno, la possibilità di riconciliare vita e lavoro attraverso lo smart working evitando ore di pendolarismo, tutto ciò improvvisamente è finito (o quasi) con l’allentamento delle restrizioni pandemiche.
Il Ministro per la Pubblica amministrazione Brunetta ha dichiarato che era necessario tornare a lavorare tutti in presenza, perché altrimenti le economie urbane sarebbero crollate. Per tenere in piedi l’economia dei centri direzionali, dei fast food, dei cibi precotti e quant’altro le economie locali che tutti avevamo iniziato a riscoprire siano state nuovamente penalizzate; forse non in tutti i casi, alcuni hanno scoperto l’alternativa e hanno continuato, per quanto possibile, a praticarla.
Poi sono arrivati i tagli delle catene di minor valore nei processi di produzione globalizzati, con i licenziamenti comunicati per whatsapp, le casse integrazioni, i processi di ulteriore delocalizzazione, ristrutturazione, concentrazione. Dalle pandemie, come dalle guerre, c’è sempre qualcuno che ci guadagna, o qualcuno che, capendo di aver già estratto tutto il valore possibile, sceglie di andarsene altrove.
Nel frattempo, a livello edilizio, vanno avanti diversi grandi interventi, e una miriade di ristrutturazioni quasi regalate dallo Stato (per chi se lo può permettere), l’ennesima politica redistributiva verso l’alto.
Arrivano infine i fondi del PNRR[16] e del cosiddetto piano complementare, finanziato dallo Stato. In linea di principio, una grande occasione per innovare il nostro paese, apprendendo da quanto avvenuto con la pandemia, e rendendolo ambientalmente, socialmente ed economicamente più resiliente. Nei fatti, si apre la corsa da un lato a riuscire a spendere i finanziamenti nei tempi dati, dall’altra a ottenere i finanziamenti. Su quest’ultima linea di partenza non soltanto gli enti territoriali e i soggetti pubblici, ma una variegata rappresentanza di attori privati.
Gli orizzonti temporali serrati per la spesa pubblica straordinaria costituiscono una buona argomentazione per legittimare semplificazioni o deregolamentazioni a partire proprio dalle procedure di governo del territorio. Le 6 missioni del PNRR[17], tutte condivisibili nella enunciazione dei titoli, si stanno in realtà concretizzando anche in opere di rilevante impatto territoriale e sociale – a volte anche ambientale[18] – il cui effettivo interesse collettivo appare perlomeno dubbio, e andrebbe in ogni caso chiarito con una verifica argomentata in sede pubblica del progetto. In realtà le regioni italiane, sollecitate dal governo nazionale a redigere dei Piani territoriali che nell’ambito del PNRR individuano gli obiettivi da realizzare, le risorse da impiegare, le modalità di attuazione, i tempi di intervento e i risultati attesi[19], hanno risposto con documenti che non declinano affatto la dimensione territoriale[20], pur analizzando le principali criticità locali per l’attuazione del PNRR.
Nel caso della Regione Toscana, l’elenco dei “principali ambiti su cui prevedere il rafforzamento” è il seguente:
1. l’individuazione delle strategie di area;
2. i processi autorizzativi in ambito ambientale di competenza regionale e in quello urbanistico ed edilizio;
3 l’attività delle stazioni appaltanti degli enti locali sul territorio (affidamento – realizzazione dei lavori);
4. l’attività della stazione appaltante regionale e delle stazioni appaltanti del Servizio Sanitario Regionale rispetto alle quali la Regione svolgerà un ruolo di coordinamento e supporto;
5. l’adeguamento e la trasformazione digitale quale fattore strategico trasversale dell’intera filiera degli Enti Territoriali finalizzata a rendere più efficiente i processi e le attività di gestione delle Amministrazioni pubbliche.
Il punto 2 nella sua successiva articolazione si limita tuttavia a trattare delle autorizzazioni ambientali, nulla prevedendo in merito agli aspetti urbanistici ed edilizi. Su questo documento, secondo quanto previsto dallo Statuto regionale, si è svolta la concertazione con le diverse rappresentanze dei soggetti economici e sociali.
Pochi mesi dopo, il Consiglio regionale approva una modifica alle norme regionali in materia di governo del territorio[21] che sospende le procedure ordinarie prevedendo che “i progetti di fattibilità tecnica ed economica” delle opere pubbliche e di pubblica utilità anche solo in parte finanziate dal PNRR o dal PNC costituiscano con l’approvazione in conferenza dei servizi varianti automatiche agli strumenti urbanistici e di governo del territorio. I consigli comunali sono chiamati solo a “prendere atto”.
Merita sottolineare come le opere di pubblica utilità siano opere private, purché contrassegnate da una generale fruibilità pubblica, e quindi vi rientrino aeroporti, stadi e impianti sportivi, cliniche private, in alcuni contesti addirittura centri commerciali e strutture alberghiere.
Sorge il dubbio che i finanziamenti del PNRR di fatto possano tradursi nell’ennesimo caso di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite, peraltro senza nemmeno quel minimo di pratica dell’argomentazione pubblica a sostegno dei progetti e interazione partecipativa costitutiva del modello di democrazia occidentale che ufficialmente dichiariamo di voler difendere anche nel resto del mondo.
La guerra in Ucraina e la fragilità del nostro modello di sviluppo urbano
Stavamo giusto facendo i conti con la lenta uscita dall’emergenza pandemica e il veloce ritorno a una normalità peggiorata quando è arrivata la guerra ai confini dell’Unione europea.
Una guerra, come scrive un manifesto per la pace promosso intorno a metà marzo da alcuni studiosi tedeschi di diverse discipline, che evidenzia la doppia faccia dell’attuale sistema di globalizzazione: basato da un lato sulla proficua “pace” mondiale delle catene di merci e dei sistemi informativi globalizzati per ridefinire lo sfruttamento delle classi lavoratrici e raggiungere con esso gli angoli più remoti del pianeta; dall’altro su lotte sempre più violente per il controllo delle zone geo-strategiche di influenza delle diverse potenze mondiali.
Abbiamo così scoperto la dipendenza delle nostre città e in generale dei nostri insediamenti dal gas e petrolio russi e di altri paesi governati da regimi non esattamente democratici secondo i nostri standard, a fronte di numerosi paesaggi italiani distrutti da parchi eolici non sempre funzionanti[22] e nessuna seria politica pubblica da anni per l’installazione diffusa di energie rinnovabili di piccola taglia[23]. Ma anche la nostra dipendenza dalle importazioni di merci, che un tempo producevamo almeno in parte anche noi, da luoghi molto lontani del pianeta, i cui flussi potrebbero per vari eventi improvvisamente bloccarsi.
I finanziamenti del PNRR potevano costituire una possibilità straordinaria di rendere le nostre comunità territoriali – i nostri diversi insediamenti – davvero più resilienti per l’insieme dei loro abitanti. Usando anche quanto la pandemia ci ha fatto necessariamente ri-apprendere in termini di necessità basilari, individuali e collettive. Attraverso procedure di governo del territorio che rendano onore alle forme di democrazia che dichiariamo di voler difendere anche partecipando alla guerra in corso in Ucraina con l’invio di armi.
Si può ancora fare qualcosa in questa direzione? Se soltanto questo testo promuovesse una riflessione al riguardo negli attori che possono modificarne il corso, considererei meno inutili gli sforzi fatti per migliorare il governo del territorio del nostro paese, così bello e potenzialmente non ancora del tutto perduto.
Note
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Considerando anche il non-planning, ovvero la decisione di non intervenire nel governo di alcune dinamiche, una scelta politica specifica. Pur riconoscendo l’importanza della riflessione a suo tempo promossa da P. Barker, C. Price, P. Hall & R. Banham Non-Plan: An Experiment in Freedom, New Society 20 march 1969, no. 338, divenuta un manifesto della cultura pop, le evidenze prodotte dall’approccio neoliberista hanno portato a rivalutare il ruolo potenziale della pianificazione nel contrastare gli effetti cumulativi – politici, economici, sociali, ecologici – della deregolamentazione: A. Fontenot, Notes Toward a History of Non-Planning, Places Journal, January 2015. È stato inoltre notato come la sequenza radicale del “non-plan” si traduca oggi non tanto nel rifiuto della pianificazione, ma piuttosto delle nuove urbanizzazioni,“not development at all”: K. Kropf, The Urban Design Library # 2, Urban Design, 2011, Issue 120, p. 8. ↑
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Nella LR Toscana 65/2014 gli artt. 2 e 8-12, che disciplinavano questi aspetti, sono stati non a caso oggetto di alcune modifiche che ne hanno ridotto la valenza di governo complessivo interno all’operato regionale. ↑
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Con definizioni diverse da Regione a Regione: in Toscana, Piano strutturale il primo e regolamento urbanistico, ora piano operativo, il secondo. ↑
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Si vedano a questo proposito i rapporti annuali prodotti da ISPRA, Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. L’ultima edizione pubblicata, liberamente scaricabile online, è quella del 2021. ↑
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Si pensi alla difficoltà di mantenere le reti infrastrutturali e di servizio in aree urbanizzate sempre più estese. ↑
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Questi obiettivi sono stati ad esempio promossi dalla Regione Puglia con la redazione del Piano paesaggistico e la promozione di diverse azioni partecipative ad esso connesse, dalla Regione Toscana attraverso l’approvazione della LR 65/2014, Norme per il governo del territorio e il Piano paesaggistico (2015). Ma non mancano a questo riguardo numerosi altri esempi meno strutturati a livello regionale. ↑
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Così, ad esempio, l’approfondimento richiesto ai comuni dei quadri conoscitivi e interpretativi dei piani paesaggistici, nelle regioni in cui questi sono stati approvati, si traduce al più in mere trasposizioni alla scala locale dei contenuti degli elaborati di piano vigenti; perdendo in questo modo l’occasione di esplorare il proprio patrimonio locale anche quale base di sviluppo. ↑
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Legge 69/2007, Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali, successivamente sostituita dalla Legge 46/2013, Dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali. ↑
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LR 65/2014, artt. 36 e segg. ↑
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Vedasi a tale riguardo la descrizione delle forme di partecipazione attivate dai diversi enti per i rispettivi atti di pianificazione e programmazione, contenuti nella Relazione del garante regionale sul monitoraggio 2020 relativo all’anno 2019. A fronte di alcuni enti che si sono posti il problema di come dare attuazione efficace al principio di interpretazione, altri comunicano come attività di partecipazione le procedure previste come obbligatorie dalla legge urbanistica nazionale 1150 del 1942. ↑
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Ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili, Decreto Ministeriale 11/11/2021 n. 414. ↑
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Il DM di cui sopra ha istituito una “Commissione per la riforma delle norme in materia di edilizia e urbanistica” che in sei mesi, ovvero nei prossimi giorni, dovrebbe ultimare i propri lavori. La materia edilizia è di esclusiva competenza statale, quella urbanistica sarebbe di esclusiva competenza regionale, a differenza del “governo del territorio”, come già ricordato competenza concorrente fra Stato e regioni. ↑
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Alcune di queste riflessioni sono state sviluppate in modo più ampio in A. Marson e A. Tarpino, Dalla crisi pandemica il ritorno ai territori, in Scienze del Territorio numero speciale/2020, “Abitare il territorio al tempo del Covid”. ↑
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S. Bertolino e A. Gusmeroli, Le quattro lombardie in metamorfosi nell’economia-mondo in A. Bonomi (a cura di), Oltre le mura dell’impresa. Vivere, abitare, lavorare nelle piattaforme territoriali, Derive Approdi, Roma 2021, pp. 70-74. ↑
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Il caso di studio. Firenze: da città turistica a città della solidarietà popolare, in I. Agostini e M. Gisotti, Politiche urbane e pratiche solidali. Il panorama internazionale e un caso di studio, in Scienze del territorio, op. cit. ↑
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Piano nazionale di ripresa e resilienza, finanziato dall’UE in parte a fondo perduto e in parte come prestito da restituire. ↑
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Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; Missione 2 – Rivoluzione verde e transizione ecologica; Missione 3 – Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Missione 4 – Istruzione e ricerca; Missione 5 – Inclusione e coesione; Missione 6 – Salute. ↑
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I progetti anche solo parzialmente finanziati dal PNRR sono tenuti a rispettare il principio DNSH (do not significant harm to the environment). L’interpretazione di cosa rappresenti un danno “significativo” giocherà dunque un ruolo rilevantissimo. Purtroppo l’allegato tecnico per la Tassonomia della finanza sostenibile individuato quale base per la valutazione (https://italiadomani.gov.it/it/Interventi/dnsh.html ) non considera minimamente ad esempio il consumo di suolo.
Fra i progetti in parte finanziati dal PNRR è stato reso noto (non ufficialmente, ma solo grazie al lavoro di un consigliere d’opposizione del Comune di Pisa) esservi anche una nuova base militare che occuperebbe 73 ettari in gran parte agricoli a Coltano, nell’area contigua al Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli. ↑
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I Piani territoriali delle Regioni e delle Province autonome che nell’ambito del PNRR individuano gli obiettivi da realizzare, le risorse da impiegare, le modalità di attuazione, i tempi di intervento e i risultati attesi. 30.12.2021 https://italiadomani.gov.it/it/strumenti/documenti/archivio-documenti.html?orderby=%40jcr%3Acontent%2Fdate&sort=desc&category=Raggiungimento%20di%20Milestone%20e%20Target ↑
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In questo caso il termine appare utilizzato come sinonimo di “regionale”, non potendo essere usato quest’ultimo per la presenza delle province autonome. ↑
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LR 92 del 20.4.2022, Disposizioni di semplificazione in materia di governo del territorio finalizzate all’attuazione delle misure previste dal Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) o dal Piano nazionale degli investimenti complementari (PNC). Una ulteriore disposizione della modifica approvata prevede la possibilità di realizzare varianti urbanistiche per interventi privati anche nelle situazioni in cui la LR 65/2014 Norme in materia di governo del territorio non lo permetterebbe, per la presenza di piani scaduti o non adeguati. ↑
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È noto come inizialmente gli incentivi pubblici per le energie rinnovabili venissero concessi anche in assenza di produzione, per la sola installazione di impianti. Rimane il fatto che anche attualmente il vantaggio degli impianti di energie rinnovabili di poter produrre energia laddove essa viene utilizzata, evitando le perdite di trasporto su lunghe distanze, non è considerato un criterio prioritario per l’accesso agli incentivi pubblici. ↑
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Anche il recente impulso dato alla promozione delle comunità energetiche, a fronte delle regole che prevedono che lo scambio energetico fra i membri delle comunità debba comunque passare attraverso Enel, ad esempio, riduce la convenienza di queste forme associate di produzione e consumo, che potrebbero davvero fare la differenza per molte famiglie e persone. ↑